giovedì 11 luglio 2013

E’ punibile per appropriazione indebita (aggravata) la mancata restituzione della documentazione da parte dell’amministratore di condominio che cessa le sue funzioni.

Lo stabilisce una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione, che ha chiarito come l’amministratore abbia il dovere di mettere a disposizione del suo successore tutti i documenti necessari allo svolgimento dell’incarico, anche quando si ritiene ancora in carica (reputando non regolare la sua sostituzione).

Il caso sottoposto al vaglio dalla Corte di Cassazione e la decisione del Supremo Collegio

A Tizio, amministratore di condominio, viene revocata tale carica con regolare delibera assembleare cui egli però non dà seguito ed anzi, non ritenendola legittima, si rifiuta di restituire la documentazione in suo possesso al nuovo amministratore, nonostante un’apposita ordinanza di restituzione emessa dal Tribunale.

Ma non solo. Egli continua inoltre a comportarsi come fosse ancora nel pieno delle sue funzioni amministrative, rendendo così più difficoltosa (e per certi versi anche paralizzandola) l’amministrazione del condominio stesso.

La  Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza  n. 29451 depositata il 10 luglio, ha ritenuto sussistente in tale comportamento gli estremi del reato di cui all’art. 646 c.p. che punisce “chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso”, confermando così la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Cagliari (a sua volta confermativa della sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Cagliari).

Nella condotta serbata dall’ex amministratore, infatti, il Supremo Collegio ha ravvisato gli estremi del reato in questione, ossia:

la volontà illegittima ed illecita di conservare ingiustamente il possesso della cosa mobile altrui;

la finalità ingiusta di profitto con cui essa viene trattenuta.

Gli elementi costitutivi della condotta delittuosa.

L’illegittimità del possesso (indebita appropriazione).

Affinché si compia un’appropriazione indebita è necessario innanzitutto far propria una cosa mobile altrui, trattenendola contro la volontà del legittimo proprietario. Di tale bene, però, si deve già avere il possesso (ossia quella forma qualificata di detenzione): in caso contrario la condotta sarebbe qualificabile come furto.

Nel caso di specie, inoltre, avendo l’ex amministratore avuto il possesso della documentazione condominiale (ed abusandone) “per relazioni di prestazione d’opera”, l’appropriazione commessa è di tipo aggravato, secondo quanto indicato dall’art. 61 n. 11 c.p., a tal fine richiamato dal terzo comma dell’art. 646 c.p..

Successivamente alla delibera dell’assemblea con la quale l’ormai ex amministratore era stato spogliato di tale carica, egli aveva l’obbligo di restituire la documentazione in suo possesso, benché non ritenesse valida la decisione: rifiutando la restituzione egli ha illegittimamente protratto la detenzione di tali documenti, dei quali si è così indebitamente appropriato.

L’ingiusto profitto per sé o per altri.

Non ogni possesso però, ancorché ingiustificato ed illegittimo, dà luogo ad un’appropriazione indebita: perché il reato si configuri è necessario che il possesso sia finalizzato a conseguire (o far conseguire ad altri) un profitto ingiusto.

Irrilevante è poi che tale intento si concretizzi o meno: anche se il profitto non si realizza, infatti, il reato è compiuto, essendo sufficiente per la Giurisprudenza della Suprema Corte il solo compimento di atti finalizzati a conseguirlo, ponendosi così l’accento sulla forma letterale dell’articolo in questione, che punisce, come detto, “chi per procurare…”, non già “chi procura”.

Tale ingiusto profitto, infine, non deve avere necessariamente connotazioni di carattere patrimoniale (può cioè anche non essere di tipo economico): perché si concretizzi l’ipotesi  delittuosa in questione “basta anche solo il fine di perseguire un (ingiusto) vantaggio di altra natura” (Cass. Penale, Sez. II, sent. n. 40119 del 12/11/2010).

Il comportamento dell’amministratore ed il profilo sanzionatorio

Così delineati i contorni del reato in esame è agevole comprendere perché l’ex amministratore è stato prima chiamato a risponderne per poi essere giustamente condannato.

La restituzione della documentazione condominiale, infatti, era un obbligo conseguente alla sua destituzione, la cui regolarità era stata anche confermata dal Tribunale che, infatti, aveva emesso un apposito ordine di restituzione, disatteso però dall’ex amministratore: con tale comportamento (ed in tale preciso istante, come chiarisce la Suprema Corte, analizzando il momento consumativo del reato ai fini del calcolo dei termini della sua prescrizione) egli si è quindi appropriato indebitamente di beni appartenenti a terzi, ponendo in essere la condotta punita dalla norma in questione.

L’ex amministratore, inoltre, traeva ingiustificato profitto (o tentava di farlo: differenza che, come visto, non rileva per escludere o meno la sussistenza del reato) dall’illegittimo possesso di tali documenti, continuandosi a comportare come amministratore benché formalmente privato di tale carica, potendo così accampare ulteriori pretese.

Il reato così delineato è poi, come detto, aggravato dall’essere stato commesso con abuso di relazioni originate da prestazione d’opera (Cass. Penale, Sez. VI, sent. n. 36022 del 05/10/2011), secondo il combinato disposto dagli artt. 646 ultimo comma e 61 n. 11 c.p.: ciò giustifica un aumento della pena fino a un terzo rispetto alla sua entità naturale, potendo così essere punita la condotta con la reclusione fino a 4 anni e la multa fino ad € 1.376,00.

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